2001: La mia “Odissea nello Spazio”

Il 19 aprile 2001, in un assolato pomeriggio, lo Space Shuttle Endeavour si innalzava sopra la rampa 39A del Kennedy Space Center, la stessa da cui oggi decollano i veicoli della Space X. Iniziava così la missione STS-100, uno dei primi voli di assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
È stato un viaggio breve ma intenso; dopo poco più di otto minuti i motori della navetta si spensero ed ero in orbita, a 400 chilometri sopra la superficie terrestre. Da un lato ero circondato da un oceano di vuoto, dall’altro vedevo un oceano azzurro; stavamo volando sul Pacifico e dominava il blu profondo delle acque, interrotto solo dal bianco accecante delle nuvole.

La Space Station V del film 2001: Odissea nello spazio

Stavo viaggiando nello spazio nello stesso anno del film “2001 Odissea nello Spazio”, a bordo di un veicolo diretto verso una stazione orbitante. Non ho potuto fare a meno di sentirmi come uno dei personaggi di quella pellicola visionaria, ma la suggestione svanì di colpo, non appena ci avvicinammo alla base spaziale. Davanti ai miei occhi non c’era la grande ruota della “Space Station V” di Stanley Kubrick ma s’intravedeva una struttura complessa, fatta di moduli cilindrici, pannelli solari, antenne e radiatori; un cantiere in piena attività.

La ISS vista dall’Endeavour in avvicinamento

Da qualche mese la Stazione Spaziale Internazionale aveva raggiunto la configurazione minima per ospitare i primi equipaggi e c’era ancora molto lavoro da fare. La nostra missione aveva il compito di portare a bordo il braccio robotico Canadarm2, la “gru spaziale” canadese considerata essenziale per continuare la costruzione della ISS. Furono necessarie due uscite extra-veicolari per assemblare i segmenti del Canadarm2 e per assicurarlo al sistema di aggancio collocato all’esterno del laboratorio americano Destiny.

Il modulo italiano Raffaello agganciato alla ISS

Un altro obiettivo, non meno importante, era quello di equipaggiare la base orbitante con una serie di strumenti scientifici e di portare rifornimenti ai tre membri dell’equipaggio che la abitavano da circa un mese. Quasi due tonnellate di materiale furono trasferite a bordo grazie al modulo logistico Raffaello, il “container spaziale”, frutto della tecnologia italiana, che faceva il suo volo inaugurale nello spazio.

Ricordo ancora l’emozione provata al mio ingresso nella Stazione Spaziale Internazionale. Ero il primo astronauta europeo a salire a bordo e sentivo su di me la responsabilità di rappresentare un intero continente. Uscendo dal tunnel che collegava l’Endeavour al modulo Destiny, ho avuto l’impressione di compiere un viaggio nel tempo, dalla tecnologia anni 70 dello Space Shuttle a quella del nuovo millennio della ISS. Niente più interruttori o sistemi analogici; al loro posto c’erano computer portatili, collegati in rete, per inviare comandi e scambiare dati con il calcolatore centrale, il vero “cervello” della stazione, che controllava tutte le funzioni vitali.

Interno del modulo laboratorio Destiny

Non era certo HAL 9000 del film di Kubrick, eppure questo computer divenne protagonista della nostra piccola “odissea nello spazio”. Per tener conto del braccio robotico appena istallato, dovemmo caricare una versione aggiornata del sistema operativo; un’operazione apparentemente di routine, che invece causò il blocco del computer primario e di quello secondario. Senza il suo calcolatore principale, la base orbitante veniva privata di molte funzioni essenziali, come il puntamento dell’antenna di comunicazione o l’orientamento dei pannelli solari.

Fu una vera emergenza che tenne impegnato a lungo tutto l’equipaggio. Ci vollero quasi 24 ore per sostituire il computer centrale e ripristinare le sue funzioni di comando e controllo.

Il Presidente Ciampi durante il collegamento con la ISS

Ma l’esperienza più emozionante è stata la conversazione con il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dal quale avevo ricevuto il gagliardetto della Presidenza della Repubblica da portare in orbita. Era il 25 Aprile, una data importante per il nostro paese e ricordo ancora le sue prime parole: «Non avrei mai immaginato di festeggiare il giorno della Liberazione parlando con un italiano nello spazio…» Ero talmente emozionato che, quando venne il mio turno per parlare, mostrai il gagliardetto che galleggiava senza peso ma dimenticai di premere il tasto per abilitare la trasmissione audio; per un attimo sono apparso muto come un pesce ma, per fortuna, me ne resi conto prima che il centro di Houston potesse intervenire.

La partenza dalla stazione non ci ha risparmiato un’ulteriore disavventura. La nostra permanenza a bordo era stata prolungata a causa dell’avaria al computer principale ma potemmo utilizzare solo in parte i due giorni di estensione che ci erano stati concessi, perchè arrivò la notizia del lancio della Soyuz che trasportava il primo turista dello spazio, il miliardario americano Dennis Tito.

La NASA aveva tentato di ritardare il lancio perché, per attraccare sul segmento russo, la capsula doveva passare pericolosamente vicino alla coda dell’Endeavour. Il centro di controllo di Mosca ignorò le pressioni americane e fummo costretti ad anticipare di dodici ore la nostra partenza, per permettere l’arrivo di Tito.

Nell’ultimo giornata in orbita, mentre eravamo impegnati nei preparativi per il rientro al Kennedy Space Center, arrivò un ultimo cambio di programma. In Florida, c’era un violento temporale con rovesci e raffiche di vento e, dopo un’ulteriore orbita di valutazione, fu presa la decisione di atterrare sulla costa occidentale degli Stati Uniti, alla base Edwards, in California.

L’Endeavour atterra alla base Edwards in California

Alle prime ore del mattino del 1° maggio si concludeva la mia ultima avventura spaziale. Le condizioni meteo erano ideali e lo Space Shuttle Endeavour fece un atterraggio perfetto sulla lunghissima pista ricavata sul letto di un antico lago.

Rientrare nella normalità non fu affatto facile! Tutto sembrava di una pesantezza insopportabile e perfino camminare era un problema. Mi muovevo con passo malfermo e ripensavo con nostalgia alla leggerezza con cui volteggiavo senza peso nello spazio.
Nei tredici giorni passati in orbita, ho girato centinaia di volte intorno alla Terra percorrendo quasi otto milioni di chilometri, ho osservato la maggior parte delle terre emerse ma, soprattutto, ho imparato ad amare il nostro pianeta, quella magnifica oasi colorata così bella eppure così fragile.

Articolo pubblicato sulla rivista FOCUS (Maggio 2021)

 

 

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