20 anni di presenza umana sulla ISS

Il 2 novembre 2000, la Soyuz si agganciava al modulo Zvezda e Shepherd, Gidzenko e Krikalev facevano il loro ingresso nel nucleo iniziale della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Erano i membri dell’Expedition 1, i primi esseri umani ad abitare l’avamposto orbitale. Da allora la ISS è stata permanentemente abitata da uomini e donne di diversa nazionalità: in tutto 241 persone, provenienti da 19 paesi.

Expedition-1: Gidzenko, Shepherd e Krikalev

Io sono uno di loro e ho un ricordo indelebile di quell’esperienza.
Era il 2001, lo stesso anno della famosa “Odissea” di Kubrick, ed ero a bordo dello Space Shuttle Endeavour diretto verso la stazione spaziale. L’analogia svanì quando cominciarono le operazioni di aggancio: la stazione davanti ai miei occhi era un cantiere in piena attività, ben lontana dalla grande ruota del film di fantascienza.

La ISS come appariva nel 2001

La realizzazione della base orbitante ha richiesto uno sforzo monumentale, che ha visto coinvolti laboratori e industrie di tutto il mondo: dagli Stati Uniti alla Russia, dal Canada al Giappone, senza tralasciare il contributo dell’Italia e degli altri paesi europei.

Ci sono voluti 13 anni e 42 voli di assemblaggio per completarne la costruzione. La configurazione iniziale si è andata espandendo con l’aggiunta di moduli abitativi, laboratori, pannelli solari e molto altro fino a raggiungere le dimensioni di un campo di calcio.

La ISS oggi ha le dimensioni di un campo di calcio

In questi 20 anni, grazie alla ininterrotta presenza umana e alla possibilità di lavorare in “assenza di peso”, la ISS si è trasformato in un laboratorio davvero unico per sviluppare nuove tecnologie, per condurre esperimenti irrealizzabili sulla terra e per collaudare le operazioni complesse.

È davvero un traguardo storico! Dobbiamo essere orgogliosi di questi due decenni di presenza umana in orbita, degli importanti risultati scientifici, delle nuove conoscenze tecnologiche ma, soprattutto, di essere stati capaci di lavorare insieme, ignorando le differenze di nazionalità, di cultura o di fede e accomunati dalla consapevolezza di contribuire al progresso dell’umanità.

 

Estratto dall’articolo pubblicato su Tuttoscienze   

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