Il futuro di Blade Runner

Il film che è diventato il paradigma dei film distopici

Mentre sta per uscire il sequel “2049” ecco un commento tra quelli dei nove personaggi intervistati da Panorama.

Se ricordo bene l’ho visto, per la prima volta, nell’inverno del 1982, a Roma. Poi l’ho rivisitato diverse volte, anche recentemente, cogliendo sempre nuove sfumature. Fin dalla prima volta, sono stato conquistato dall’idea di un futuro che, sebbene fosse lontanissimo dalla realtà degli anni ’80, pure appariva così realistico da generare un senso di grande inquietudine. Per me è diventato il paradigma del futuro distopico.

Una Terra battuta da una pioggia perenne, una società dove sapere e ricchezza sono in mano a multinazionali che usano la tecnologia per creare replicanti, copie sintetiche con capacità superiori a quelle umane. Sono gli schiavi del 21° secolo, da usare per i “lavori sporchi”, per le guerre combattute oltre i «bastioni di Orione», che vengono uccisi senza pietà sul pianeta dove sono stati creati.  

Un futuro opposto a quello di Star Trek dove, secondo il Capitano Picard, la scienza ha liberato l’umanità dai suoi demoni: «…ci siamo macchiati di orribili crimini ma ci siamo evoluti…non aspiriamo più al potere o al possesso di beni ma a diventare migliori…». 

Eppure il mondo cupo di Blade Runner ci consegna un finale di speranza. Mentre la sua esistenza si spegne, Roy libera una colomba e lancia ai suoi “creatori” un messaggio di rispetto e di amore per la vita, in tutte le sue forme. E’ anche per questo che ho subito amato questo film. 

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