Satelliti spazzini per ripulire le orbite intorno alla Terra

Come liberarsi delle migliaia di tonnellate di detriti spaziali

Sono passati più di 60 anni dal lancio dello Sputnik che ha dato il via all’era dei satelliti artificiali. Circa 7 mila oggetti sono stati inviati in orbita, ma moltissimi sono ormai inattivi e appena mille sono quelli pienamente operativi.

In base a questi numeri, possiamo ben dire che la nostra Terra è circondata da migliaia di tonnellate di “spazzatura spaziale”. Una parte è composta da oggetti abbastanza grandi (più di una decina di centimetri), che possono essere monitorati dai radar terrestri, ma ci sono anche milioni di pezzi più piccoli, non individuabili da terra, che possono diventare dei veri e propri “proiettili vaganti”, capaci di danneggiare o distruggere un satellite perfettamente funzionante. 

Per questo, si è deciso di correre ai ripari e di sviluppare sistemi spaziali capaci di ripulire le orbite intorno alla Terra. E qui veniamo alla notizia del giorno, che parla di un satellite che è stato capace di “arpionare” un bersaglio quadrato di 10 centimetri, posizionato a circa un metro e mezzo di distanza. Il test dell’arpione è stato uno degli esperimenti effettuati nell’ambito della missione RemoveDebris, finanziata dai programmi di ricerca dell’Unione Europea e finalizzata alla verifica di tecnologie per la rimozione attiva dei detriti orbitali (Active Debris Removal o ADR).  

Nel giugno del 2018, un satellite CubeSat è stata rilasciata dalla Stazione Spaziale Internazionale e ha iniziato la sua campagna di test. Il primo esperimento ha riguardato l’uso di una rete per catturare piccoli cubetti che simulavano i rottami più piccoli e più difficili da recuperare. Poi sono stati provati alcuni sensori ottici che saranno utilizzati per localizzare e identificare i detriti in orbita.Infine, pochi giorni fa, il test più difficile con il lancio dell’arpione, una manovra gestita autonomamente dal computer di bordo, che ha permesso di recuperare una struttura di alluminio che simulava un pannello di copertura di un generico satellite.

Nelle prossime settimane verrà effettuato l’ultimo test: l’apertura di una vela per accelerare l’uscita dall’orbita e la caduta verso la Terra. La vela moltiplicherà l’attrito delle poche molecole d’aria presenti in orbita bassa e permetterà al satellite di perdere quota più rapidamente e terminare la sua missione, disintegrandosi al rientro nell’atmosfera terrestre. 

Nei prossimi anni, migliaia di satelliti saranno lanciati in risposta alla crescente domanda mondiale di servizi di telecomunicazione e di Internet a banda larga. Inoltre, la NASA e le altre agenzie spaziali stanno pianificando missioni con equipaggio che, anche se punteranno oltre l’orbita terrestre, si lasceranno dietro gli stadi esauriti dei razzi e varie altre componenti. 

Per questo motivo, è necessario cominciare a realizzare piattaforme orbitali capaci di catturare i rottami del passato e di ripulire le orbite sempre più affollate. In futuro le “autostrade dello spazio” saranno sempre più frequentate; sapere che ci sono metodi efficaci per controllare il traffico ed eliminare i pericoli di “incidenti” è sicuramente una buona notizia.  

Pubblicato sul Blog dell’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) nella sezione SPAZIO:https://www.agi.it/blog-italia/autore/umberto-guidoni/


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